lunedì 10 febbraio 2014

RECENSIONE: ANDI ALMQVIST (Warsaw Holiday)

ANDI ALMQVIST   Warsaw Holiday (Rootsy/IRD, 2013)



Warsaw Holiday, quarto lavoro in studio del cantautore svedese Andi Almqvist, ha quel raro dono concesso solo a pochi dischi: sa graffiare le ossa fin dal primo ascolto. O lo ami o lo detesti. Non lascia indifferenti. Quasi disturba. Lascia quei brividi che potrebbero essere generati da una lama che scalfisce l'osso. Sveglia gli incubi funesti assiepati tra gli alti (pochi e preziosi) e i bassi (tanti ma forse neppure inutili) della vita . Merito di una voce greve e bellissima, nera e paludosa con l'abissale profondità appartenente a Mark Lanegan, e la forza disperata di un songwriting cupo e darkeggiante che si aggrappa alla vita attraverso sottilissimi e delicati fili, spesso talmente assurdo, cinico, sbeffeggiante da diventare anche umoristico e dissacrante quanto il migliore Nick Cave di inizio carriera, dove vita e morte sembrano danzare sull'ultimo valzer concesso ai bordi del precipizio che porta direttamente alla fine del mondo. Il tutto accompagnato da un folk scarno (No More Songs For You), dal blues minimale ma corale tenuto insieme da un Hammond sullo stile Al Kooper nei dischi di Dylan (No) e da lente e inquietanti ballate pianistiche dal color bianco e nero, intrise di pathos funereo come l'iniziale e ululante Worwood, o la stupenda e cinematografica Pornography così carica di immagini d'effetto, o meglio ancora la malinconica intensità di In The Land Of Slumber con un violoncello a tessere ragnatele sulla lunga profondità. Un disco che incuriosisce fin dalla copertina (no, non è Almqvist quello) che ritrae un personaggio bizzarro e "vissuto" che Almqvist ha conosciuto in una piccola cittadina della Repubblica Ceca. A lui è dedicato il disco e nel libretto troverete solo sue foto ed uno speciale invito a pagargli una birra se mai capiterete dalle sue parti: lui si chiama Vaclav, il paese è Český Krumlov, è lì è un personaggio ben voluto da tutti, soprannominato "el presidente".
Oh La La  (con una "o" in meno dei Faces) gira intorno ad un cupo e prepotente giro di blues che esalta l'alienazione tanto da farmi materializzare davanti agli occhi il fantasma di Layne Staley e gli Alice In Chains unplugged arricchiti da uno straniante sax, canzone che viene ripetuta in una versione full band. Unica vera concessione al rock del disco.
Kinski (già presentata in versione live-insieme ad un paio di altri brani-nel suo precedente disco dal vivo The Misadventures Of Andi Almqvist uscito nel 2011) ha l'andatura sbilenca, folle, felliniana e clownesca del Tom Waits di metà carriera, Happy End è una stridente preghiera acustica per sola voce (ecco il paragone con Mark Lanegan che si materializza), chitarra e violino da recitare ai bordi della fossa, quando l'ultimo respiro affannoso uscirà dalle labbra, gli occhi spalancati saranno coperti dalla terra e le orecchie sentiranno solo il rumore della pala di un becchino in azione. Addio. Mentre la title track Warsaw Holiday si dipana sinuosa e sinistra sulle note di un Fender Rhodes suonato da dita decise, Insomnia promette nottate senza chiuder occhio con un inquietante e paranoico coro fanciullesco (un crescente lalalala) ed un carillon a dettare i secondi. Insomma c'è poco da stare allegri con Almqvist in circolazione. Svegliate i vostri incubi e mettete a riposo i bambini.
Anche se uscito nel 2013, Warsaw Holiday è una delle migliori folgorazioni di questo mio inizio anno. Spengo la luce e ascolto il mio gravedigger che sposta la terra.








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1 commento:

  1. Come al solito, gran bel pezzo: giornalismo senza narcisi tra i dentini. Sollievo e ascolto.

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