giovedì 7 novembre 2013

RECENSIONE: JOHNNY FLYNN (Country Mile)

JOHNNY FLYNN   Country Mile (Transgressive Records, 2013)



A Larum, debutto di Johnny Flynn uscito nel 2008 colpì nel segno, facendosi forza trainante di tutto un nuovo movimento folk che stava per invadere e sovraffollare le isole britanniche, riuscendo anche a nuotare oltre oceano e conquistare nuovi approdi. Un disco essenziale e ricco di forti e trascinanti melodie acustiche in chiaro-scuro che mettevano a nudo l'ancor giovane vita di Flynn, un attore teatrale shakespeariano prestato al folk. Un piccolo nuovo talento da coltivare. Il successivo Been Listening (2010)-che in verità ho ascoltato pochissimo- fu il classico passo più lungo della gamba, tanto che il biondo folk singer, dalla faccia perennemente adolescenziale e nato in Sudafrica, sembrò inciampare su arrangiamenti più elaborati, ricchi di strumenti a fiato, ma meno immediati, nonostante il duetto con l'amica Laura Marling in Water valesse da solo il prezzo dell'acquisto. Uno sforzo compositivo apprezzabile ma che sembrò ritorcegli contro piuttosto che lanciarlo definitivamente a livello mondiale, dove invece iniziarono ad impossessarsi della scena i colleghi e amici Mumford And Sons. Un successo quasi inspiegabile, il loro. In questo terzo disco, Flynn fa un passo indietro, a discapito del titolo (Country Mile) e ritrova l'essenzialità folk di quell'esordio senza abbandonare piacevoli incursioni in altri campi come avviene nella trascinante danza tribale Fol-De-Rol dove un organo malandrino imperversa tra la world music e i cori "black". Un disco che fin dall'iniziale title track, una struggente marcia che affonda i piedi nel viaggio, metafora- ma anche qualcosina in più-di vita. Forse ancora alla ricerca di se stesso, Flynn cammina a passo veloce e ben disteso dentro alla vita, cercando nuovi significati e risposte in giro per il mondo: "libero dalle mie radici, mi sono perso nel vento/Il vento sulla montagna e la montagna è mia amica" , sognando ed immaginando un nuovo mondo per lui e per il piccolo figlio da poco nato. Scritto in viaggio tra l'asse Londra-New York, e prodotto interamente da se stesso, Flynn preferisce vestire i panni dell'antico menestrello: After Eliot, Murmuration, Gypsy Hymn, ballata per sola voce e pianoforte con i cori della sorella Lillie Flynn, la bella intuizione di Einstein's Idea con quel "Oh My Darling" che ci fa venire in mente altre cose, la carezzevole melodia di violoncello e violino nella finale Time Unremembered o le adulte atmosfere di Bottom Of The Sea Blues, una delle mie preferite.
Testi pieni di metafore, imprevedibili, fervida immaginazione che a volte travalica un po' troppo, arrangiamenti semplici sui cui si applicano bene interventi a sorpresa di trombe e organo (The Lady Is Risen). Una forma arcaica di canzone che si nutre dai padri Fairport Convention, si mette le vesti buone, melodiche e gentili del pop e approda alle nostre orecchie in modo carezzevole e garbato, senza mai sbavare fuori dal disco. Manca sempre quello scatto in più da vero fuoriclasse (quale potrebbe diventare), ma ciò non toglie la genuinità che pervade le sue composizioni che hanno quell'aura decadente che conquista e ammalia. Il 23 Novembre sarà in Italia per un'unica data al Tunnel di Milano.




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