mercoledì 18 settembre 2013

RECENSIONE:GREEN LIKE JULY(Build A Fire)

GREEN LIKE JULY  Build A Fire (La Tempesta, 2013)


Squadra vincente non si cambia, ma si può ancora migliorare. La band lombardo/piemontese doveva ripetere l'eccellenza del fortunato predecessore Four-Legged Fortune (2011), lo fa e si supera, mantenendo invariati gli ingredienti base e aggiungendo solo il tocco necessario che fa la differenza, raggiungendo la meritata eccellenza di caratura internazionale che ormai non può che competerle di diritto. I Green Like July sono internazionali! Stesso gruppo di lavoro base: Andrea Poggio alla "vellutata" voce, chitarra e autore unico, Paolo Merlini alla batteria, più Marco Verna polistrumentista tuttofare e Roberto Paravia al basso, stesso produttore A.J. Mogis (Bright Eyes), stessi studi di registrazione americani, gli Arc Studios di Omaha nel Nebraska, ormai loro seconda casa, e infine l'artwork dalla incisiva semplicità affidato nuovamente alla brava artista Olimpia Zagnoli. Unica defezione rispetto al recente passato: Nicola Crivelli.
I valori aggiunti sono gli arrangiamenti del disco affidati alla bizzarra follia musicale di Enrico Gabrielli, un "moderno" alchimista degli strumenti che sembra provenire dal passato remoto, già conosciuto nelle fila di Mariposa, degli Afterhours, nei Calibro 35 (prossimi all'uscita con il nuovo album), più altri numerosi progetti a cui ha partecipato, i prestigiosi ospiti presenti (Mike Mogis, Jake Bellows dei Neva Dinova), ma soprattutto le nove canzoni- tutte-che viaggiano alla giusta altezza, in perfetto equilibrio tra l'amore, mai nascosto, verso la musica folk/roots americana di fine '60 (The Band, The Byrds), il pop anglosassone dei '60/'70 (con la coppia McCartney-Lennon in testa) ed i rari pixel di modernità (alla XTC o gli attuali Okkervil River) che fanno capolino qua e là in alcune soluzioni anche se ben coperti dagli effetti antichizzanti, gli arrangiamenti orchestrali da sogno ad occhi aperti con qualche rara ma buona svisata glam come succede nella più movimentata Borrowed Time, la più rock della lista.
Una soffice nuvola pop che ondeggia negli alti cieli con spietata gentilezza per poco più di mezz'ora-perché la bellezza non la si misura con l'orologio-lasciando penetrare tiepidi raggi solari che bucano l'aria (Agatha Of Sicily), rassicurano nella pacatezza melodica del quadretto dipinto da An Ordinary Friend, accarezzano nel folkie onirico di Tonight's The Night, asciugano lacrime nella "gentile" rassegnazione segnata dagli archi di Good Luck Bridge con il prezioso intervento vocale di Jake Bellows, e corteggiano tra le note di un carillon e i cori di Johnny Thunders (musicalmente, tutto fuorché quello che il titolo lasci pensare). Le stesse nuvole che lasciano cadere tiepide gocce di pioggia negli episodi più movimentati come la circolare e corale A Well Wellcomed Change, l'ipnoticità catalizzante dell'opener Moving To The City e la già citata Borrowed Time. Una tela senza sbavature, forse fin troppo perfetta per essere vera, si potrebbe obiettare.
Arrivati al terzo disco, il più grande complimento che si possa fare ai Green Like July è dire che "le nove canzoni suonano come i Green Like July".




vedi anche RECENSIONE: GREEN LIKE JULY -Four-Legged Fortune (2011)




vedi anche INTERVISTA a OLIMPIA ZAGNOLI




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