giovedì 7 febbraio 2013

RECENSIONE:ARBOURETUM (Coming Out Of The Fog)

ARBOURETUM  Coming Out The Fog  (Thrill Jockey, 2013)

Se l'impegnativo appellativo di "band definitiva di classic rock degli anni zero" fino a ieri poteva essere un azzardo, ora è prossimo alla realtà. Il quinto disco della band di Baltimora continua il lento processo di crescita che ne ha caratterizzato il percorso fin dagli esordi (il primo album fu Long Live The Well-Doer-2004), arrivando ad una quasi perfezione di forma poco avvicinabile dai coetanei generazionali, mi vengono in mente gruppi come Shearwater, gli interessanti Wolf People o i Black Mountain, a cui manca però la profondità compositiva e l'amore per i dettagli che possiedono gli Arbouretum. Passato e moderno musicale trovano il modo di convivere senza bisogno di combattere per prevalere l'uno sull'altro.
Abbandonati gli spigoli più taglienti degli esordi, il suono continua ad arricchirsi di quelle sfumature folk già ben presenti nel precedente The Ghatering (2011), ora ancora più avvolgenti e così ben integrate tra i rifferrama hard, sempre meno incisivi ma ancora significativi e le visioni ambiental-psichedeliche del leader Dave Heumann, vero punto caratterizzante e di forza del progetto. Un suono che sta trovando sempre più la giusta via dell'originalità pur attingendo da più fonti di ispirazione.
A partire dall'iniziale e brumosa The Long Night, dal lento incedere di  Renouncer dove il folk/progressive britannico dei Fairport Convention (in fondo la somiglianza con la vocalità di Richard Thompson è palese) abbraccia le divagazioni chitarristiche di Heumann sempre più vicine alle visioni elettro-narcotiche di Neil Young & Crazy Horse dei bei tempi; nell'intima elegia estiva di Oceans Don't Sing, tra folk e country, o nella finale meditativa Coming Out Of The Fog, cullante e rassicurante ballad costruita su pedal steel e pianoforte, già un piccolo classico del loro nuovo approccio musicale.
La chitarra di Heumann sorvola incontrastata come un'aquila imperiosa sulle cime più alte di una silenziosa catena montuosa, scossa nelle fondamenta dalle più elettriche  All At Once The Turning Weather, dallla breve strumentale Easter Island , dal rock sincopato, epico, sinuoso e psichedelico di The Promise, o dal  drone/fuzz stoner e cosmico di World Split Open dove annichilisce e stordisce.
"On top of a column/above the sand/out in the desert sun/He stood and stood/for egress and years/apart from everyone" da Renouncer.  
I desolati paesaggi dove perdersi continuano ad essere gli stessi, a cambiare è il loro approccio, sempre in continuo movimento e diccifile da acciuffare. Quaranta minuti che avvolgono con passo lento, quasi pigro ma deciso e vincente. Se non potete permettervi costosi viaggi per uscire dalla freneticità quotidiana, gli Arbouretum vi promettono il miglior comfort spazio/temporale sulla piazza.




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