giovedì 20 dicembre 2012

RECENSIONE: MARK LANEGAN (Dark Mark Does Christmas 2012)


MARK LANEGAN  Dark Mark Does Christmas 2012 (EP, autoproduzione)

"Quando gli altri si divertono io preferisco soffrire, da solo, in silenzio, a muso lungo per rovinarti la festa/Non sopporto il Capodanno non mi piace il Carnevale sono triste per Natale" . Cantava così Freak Antoni con i suoi Skiantos qualche anno fa, rispecchiando gli umori di molti di noi con l'avvicinarsi delle feste.
Mark Lanegan che già aveva aperto l'anno con lo splendido Blues Funeral (tra i migliori dischi dell'anno), lo finisce anche, con il "classico" disco natalizio che per una volta, fortunatamente, tanto classico non è. Me lo immagino: di nero vestito con il bicchierino di whiskey nella mano, la bocca storta a raffigurare un mezzo sorriso finto compiacente, con le colorate luci ad intermittenza di un alberello spoglio ad illuminarne solo di striscio la sua grande sagoma adagiata sullo sgabello, laggiù nell'angolo della stanza. In silenzio, a muso lungo per rovinare la festa, proprio come la canzone degli Skiantos. 
La tradizione dei dischi natalizi che in America è diventata da piacevole ricorrenza (i dischi natalizi di Elvis Presley e Bing Crosby avevano tutto un loro sapore) a triste consuetudine che cade spesso in inutile e melensa melassa che cola giù, appiccicosa, dagli scaffali del reparto musica nel supermarket sottocasa, vedi il recente duetto tra Rod Stewart e "l'illustre defunta". Tradizione che ha contagiato un po' tutti, non ultimo Bob Dylan che comunque riuscì a cavarsela alla grande con il dignitosissimo Christmas In The Heart (2009); anche il nostro mercato discografico ne è stato infettato, l'ultimo in ordine cronologico mi pare sia Claudio Baglioni.
Il disco di Lanegan che troverete, è bene ribadirlo e sottolinearlo, solamente in vendita ai suoi concerti (almeno per ora), rispecchia in tutto l'animo dell'autore. Solo quindici minuti nati un po' per gioco, un poco per scommessa e registrato, sembra, in una sola notte, quella sì realmente buia e tempestosa. Lasciate che quell'uomo silenzioso seduto in fondo alla stanza si impossessi mestamente della scena, che si cimenti al profondo canto, accompagnato solamente dalle chitarre acustiche o da un banjo come nel canto apocrifo sulla Vergine Maria in The Cherry Tree Carol. Oppure lasciate che la sua voce a cappella  riempia di tenebrosi echi e brividi la camera vuota, con il canto tradizionale della terra d'Albione Coventry Carol basato sul dubbio episodio della terribile Strage Degli Innocenti commissionata da Erode e raccontata nei Vangeli di Matteo. 
Sei canzoni che rifuggono, una volta tanto, dalla banalità natalizia, non ridondanti come può esserlo l'arrivo di Santa Claus al centro commerciale il giorno della vigilia, ma rispecchiando l'umore nero e profondo del suo esecutore. Registrazioni rigorosamente lo-fi e acustiche dall' imprinting Folkie che sembrano essere la continuazione del suo funerale blues piuttosto che l'innalzazione festosa davanti ad una nascita importante come siamo abituati e spesso obbligati a fare-controvoglia- in questi giorni. Le "campane del paradiso" che risuonano nell'altro traditional anglosassone  Down In The Yon Forest guidata dall'ukulele; l'abusato canto natalizio della nascita di O Holy Night che in questa versione spettrale farebbe finalmente la sua bella figura nella Santa Messa di qualunque chiesa del mondo; il viaggio e l'arrivo dei  Magi di We Three Kings, canto scritto da John Henry Hopkins Jr. fino ad arrivare a Burn The Flames di quell'altro animo solitario e disperato di nome Roky Erickson, messa lì alla fine, a stemperare e rappresentare quale sia il vero spirito natalizio che infiamma il cuore sinistro degli animi emarginati.
Anche questo Natale passerà, ma finalmente abbiamo la colonna sonora ideale. L'unica che suona per soli quindici minuti, ma tanto bene anche a festa finita.





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