giovedì 29 novembre 2012

RECENSIONE: SCOTT KELLY / STEVE VON TILL / WINO (Songs Of Townes Van Zandt)

SCOTT KELLY / STEVE VON TILL / WINO  Songs Of Townes Van Zandt ( My Proud Mountain, 2012)

Va da sé che uno dei tributi meglio riusciti e credibili a Townes Van Zandt esca da personaggi che, come già fatto dal maledetto cantautore texano in vita, vivono la musica ai margini, lontano dalla ribalta mainstream. Conosciuti da chi non pone limiti ai gradi della propria visuale musicale, un po' meno a chi verso certi suoni non si avvicinerebbe nemmeno sotto tortura fisica.
Veniamo quindi alle presentazioni: Scott Kelly e Steven Von Till sono da sempre l'anima, le voci e le chitarre di quella entità proveniente da Oakland a nome Neurosis che dal 1985, dopo gli esordi post-hardcore, ha saputo creare, attraverso una trasformazione in continuo movimento che ancora deve finire (è appena uscito il loro ultimo album Honor Found In Decay che sposta ancora i limiti del loro suono) una musica assolutamente personale dove metal, sludge, industrial, progressive, psichedelia e anche folk potessero convivere insieme andando a compiere un viaggio oscuro intorno alla psiche umana, assolutamente personale e talmente ricco di sfumature da avere pochi eguali ed una nutrita schiera di imitatori assolutamente non all'altezza. Disco consigliato: Through Silver In Blood (1996). Scott Kelly e Steven Von Till non hanno mai nascosto il loro amore per il folk più nero, brumoso, minimale e intimistico, grazie ai numerosi altri progetti solisti che hanno scandito la loro carriera. Questo tributo non sorprenda quindi, sempre di introspezione si tratta: là dove ci sono le rumorose e pesanti chitarre elettriche, nei progetti solisti c'è il minimalismo di una chitarra acustica e la forza delle voci assolutamente profonde e vere.
Scott "Wino" Weinrich è invece un personaggio che ha sempre dimostrato più anni di quelli effettivi. Carriera iniziata a metà anni settanta con gli Obsessed e continuata esplorando gli anfratti più nascosti, rallentati e fangosi del doom/blues con i St.Vitus e con gli Spirit Caravan. Un Hippy che può considerarsi a tutti gli effetti uno dei padri e "guru" del movimento Stoner Rock, non chè autore di alcuni pregevoli lavori solisti gravitanti intorno al blues psichedelico (Puncuated Equlibrium-2009).
Inevitabile che tre ceffi americani di questo calibro, che vivono ancora la musica in modo spirituale ed emozionale, abbiano un punto in comune con la musica di un personaggio schivo, misterioso, per certi versi maledetto, ma estremamente vitale e ancora non completamente sdoganato come Townes Van Zandt.
Nove canzoni (tre canzoni interpretate da ciascuno) prese dal vasto repertorio lasciato da Van Zandt prima di morire nel capodanno del 1997, dopo aver vissuto ogni giorno come l'ultimo, raccontando la sua personale visuale dell' America, ma soprattutto l'influenza che questa terra ha avuto nel suo quotidiano, capovolgendo la sua anima e ispirando la sua poesia come hanno fatto solamente i più grandi cantori d'America del '900 da Woody Guthrie, a Pete Seeger, da Hank Williams a Bob Dylan. Van Zandt riuscì a convivere ogni giorno con depressione e alcolismo, tracciando una via tortuosa e offuscata alla sua vita, vissuta sempre in viaggio, perennemente e pericolosamente sempre in corsia di sorpasso, con l'istintività artistica sempre in primo piano nella gioia e nel tanto dolore.
A parte qualche leggero azzardo, le canzoni vengono riproposte con estrema devozione e rigore acustico, mettendo in mostra e risalto, solamente le tre differenti vocalità dei personaggi coinvolti.
SteveVon Till alle prese con la malinconica semplicità melodica di If I Needed You, con il nero fango texano di Black Crow Blues cantata con la voce sofferta, fumosa e raschiosa, mentre solo la soffocante The Snake Song presenta dei pochi invasivi effetti elettronici. 
Scott Kelly si immerge nel lento e darkeggiante  incedere di St.John The Gambler con la sua baritonale voce che sfiora la profondità di Mark Lanegan, i riverberi di Lungs tra il diavolo e quel figlio unico di nome Gesù, e i sette minuti estremamente convincenti nel regalarci un piccolo ritratto di quell'America dimenticata, nella storia di una ragazza che lascia il suo paese alla ricerca di un lavoro in Tecumseh Valley.
Wino è il più vicino all'originale, come voce ed interpretazione. Semplicità per sola voce e chitarra da vero folksinger come nei notturni chiaro scuri di Rake, nella discesa verso l'emarginazione di Nothin' e nel vagabondaggio solitario di A song For.
Un disco intimo e passionale (sulla scia dello splendido omaggio che un altro reietto come Steve Earle riuscì a fare con Townes-2009) che semina profondità, attraverso 9 canzoni, non necessariamente le più famose, in cui si mostra quanto le oscure e cerebrali  liriche di Townes Van Zandt abbiano lasciato un segno negli artisti americani, di qualunque estrazione musicale e tempo. Un omaggio, uno sfizio, una celebrazione: chiamatelo come volete, ma questo disco è una dimostrazione di quanto solo la buona e immortale musica riesca ad unire le generazioni. Consigliatissimo.

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