venerdì 9 novembre 2012

RECENSIONE: RUSTED PEARLS & THE FANCY FREE(Roadsigns)

RUSTED PEARLS & THE FANCY FREE  Roadsigns  (EP,autoproduzione, 2012)

Il Friuli è da sempre una generosa e accogliente terra di confine, ma anche di tosti ed intraprendenti emigranti, che sa essere prodigo anche quando deve calare i suoi assi del rock. Non a caso da Udine arrivano i già affermati W.I.N.D. di Fabio Drusin, una delle migliori realtà hard/blues europee. 
I Rusted Pearls & The Fancy Free con il loro primo EP Roadsigns vogliono cavalcare l'identità esplorativa del popolo friulano e le strade musicali percorse dai già citati W.i.n.d.
Le sei canzoni guardano ad un altra terra di confine molto lontana: a quel sud degli States che negli anni settanta ci regalò il meglio di sè con il southern rock, riuscendo a fondere in modo perfetto  mondi musicali solo in apparenza distanti come blues, soul, rock e country.
Il gruppo che nasce a Udine dopo i progetti solisti di alcuni membri, passa ad una prima incarnazione a nome Skins, trovando solamente di recente l'assetto ideale. L'amore per il southern rock esce con prepotenza dalle prime due tracce Free e Roadsings and White Lines, dove le chitarre duellanti di Dario Snidaro (anche voce) e Andrea Mauro sono in grande evidenza ma estremamente caratterizzanti lungo tutto il disco, come la compatta base ritmica (Marco Fabro al basso e Massimo Mattiussi alla batteria). I Rusted Pearls riescono a mettere sul piatto tante altre influenze: dallo street/hard rock ottantiano in Rusted Pearls con una melodia accattivante e memorizzabile, al buon compromesso tra l'hard/rock del passato e la pesantezza moderna di Home con una bella accelerazione nel finale. Il tutto prodotto da Riccardo Asquini, che è riuscito a mantenere su disco il suono tosto e live che credo sia il vero punto di forza di questi ragazzi.
foto by Alice B.L. Durigatto
Ma c'è anche un'anima nascosta, più blues e soul, quando le chitarre smettono di ruggire ed i ritmi calano di intensità, come nella conclusiva Precious con le voce femminile di Sarah del Medico e l'hammond di Alberto Pezzetta che mi ha ricordato oltre ai Black Crowes di metà carriera, anche il bello e sempre dimenticato Native Tongue dei Poison, era Richie Kotzen, e una vena quasi cantautorale, frutto evidente delle passate esperienze in Chilly Girl, con il pianoforte a guidare ed una sorpresa (quasi) noise nel finale.
Un disco, che nei suoi soli 26 minuti di durata, mette molta carne al fuoco ma soprattutto vuole essere l'anticamera a qualcosa di più professionale che, ne sono sicuro, arriverà molto presto.










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