venerdì 7 settembre 2012

RECENSIONE: IAN HUNTER & THE RANT BAND (When I'm President)


IAN HUNTER & the RANT BAND When I'm President ( Slimstylerecords, 2012)

 La zazzera di capelli e i grossi occhiali sono sempre quelli che campeggiano in tante altre copertine della sua discografia. Solo l'età avanza e cambia inesorabile: quest'anno sono settantatrè. La qualità musicale, invece, rimane miracolosamente immutata, in linea con i due precedenti dischi: Shrunken Heads(2007) e Man Overboard(2009) che lo hanno riportato al centro dell'attenzione, tanto da convincerlo a rispolverare anche i vecchi Mott The Hoople per una reunion, concretizzatasi nel 2009. I tempi bui e poco ispirati degli anni '80 e '90 sembrano un lontano ricordo.
"Madre, sono uno straniero, in una terra straniera, mi sento un alieno". Questa volta Ian Hunter punta davvero in alto. Quando sarà presidente tutto cambierà, canta nella titletrack When I'm President, un rock/pop inconfondibilmente marchiato Hunter. "Le canzoni sembrano più ottimiste questa volta. Gli ultimi due album sono stati piuttosto politici. Ho sempre pensato che gli anni di Bush fossero orribili, per fortuna sono passati." Racconta sul suo sito.
Rinfrancato dal cambiamento della situazione politica, il buon vecchio Hunter si ributta nel rock'n'roll e lo fa con immutato spirito giovanile e battagliero che camuffano la sua vera età.  Prova ne è l'iniziale Comfortable(Flyin' Scotsman) che apre il disco. Un boogie rock'n'roll con tutta la sua compatta Rant Band a macinare riff ( Steve Holley alla batteria, Paul Page al basso, James Mastro e Mark Bosch alle chitarre e Andy Burton al piano ) che nel frattempo si è pure guadagnata il monicker in copertina, di fianco al nome del capo. Canzone con la presenza del sax di Mark Rivera che sembra uscita da All-american alien Boy(1976).
Un incitamento a non mollare mai arriva anche da Fatally Flawed, una semi-ballad dylaniana disturbata da squassanti scariche elettriche a cui il buon Andy York, produttore del disco insieme a Hunter (i due si celano sotto il nickname The Prongs) e ospite ben presente in tutto il disco, contribuisce con la sua chitarra. Ancora rock'n'roll chitarristico e stonesiano esce da What For, una stoccata incisiva e ben assestata a tutta la spazzatura mass-mediatica.
Black Tears si tuffa nei forti colori del blues/soul con un bel solo finale di chitarra di Mark Bosch.
La solarità di un disco che esplode nella sua parte centrale e che Hunter spiega così sul suo sito : "Io non vado alla ricerca delle canzoni. Devo aspettare che loro vengano da me. Ho avuto uno scatto nell'estate del 2011 e da lì è partito tutto. Il songwriting è sempre stato un mistero per me . Di tanto in tanto si è più vicini al sole, e si deve essere pronti a catturarlo."
"Non sono un santo/ e non sarebbe la stessa cosa senza musica" canta nella ballabile Saint, tra flauti, farfisa e atmosfere da festa campestre così come nell'amore per una donna semplice cantato in Just the Way You Look Tonight. Tra il Mellencamp di The Lonesome Jubilee e Springsteen.
Wild Bunch è un  pianistico shuffle da saloon che sembra chiamare in causa il primo Rod Steward e suoi Faces che si conclude con un coro "We shall gather by the river" che fa il verso all'inno patriottico americano Glory Glory Allelujah a cui partecipa anche il figlio Jesse Hunter Patterson, che si prende la scena, scrivendo e duettando con il padre in I Don't Know What You Want un doo-woop blues con la presenza di Rick Todisco alla chitarra solista.
Ta Shhunka Witco(Crazy Horse) è la canzone più darkeggiante e atipica del disco, un nuovo inno in difesa dei nativi pellerossa che presenta oltre ad un flauto irish anche l'unica concessione elettronica del disco con le tastiere di Andy Burton a creare un tappeto marziale da danza della pioggia.
Quale miglior conclusione con la ballata Life:
"Easy come-easy go-just another rock'n'roll show,hope you had a great night/when you get home and climb into bed-just remember what I said/laugh because it's only life".
Un augurio che Ian Hunter ci fa e che contraccambiamo. Buona vita e altri cento di questi dischi.
 



 




 





 

1 commento:

  1. Bellissima recensione per un disco che da quello che dici merita approfondimento!
    Ian forse è il vero patriarca del Rock Britannico...
    Grazie

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