lunedì 18 giugno 2012

RECENSIONE: GRACE POTTER & THE NOCTURNALS (The Lion The Beast The Beat)

GRACE POTTER & THE NOCTURNALS  The Lion The Beast The Beat  ( Hollywood Records, 2012)

Il precedente disco omonimo aveva dato poche risposte su dove la bella e brava Grace Potter con i suoi Nocturnals volessero andare a parare con la loro musica. Tante influenze che convergevano sullla indiscutibile dote vocale e carismatica della bionda e sexy cantante. Nonostante tutto, senza che questo si trasformasse in merito o demerito, riuscì a catalizzare l'attenzione e conquistare nuovi fans, soprattutto in sede live dove la vera essenza da jam band del gruppo emerge in maniera più limpida e veritiera.
The Lion The Beast The Beat, quarto disco della band, sembra voler continuare sulla scia del precedente, mischiando se possibile ancor  più le carte, dando però una piccola sentenza: il suono dei Nocturnals abbandona (momentaneamente?) i vigori più roots/rock/blues, dando il benvenuto a velate influenze new vawe eighties che però non sempre riescono essere ficcanti ed efficaci, largo uso di orchestrazioni e ad incursioni soul sixties che invece convincono maggiormente; avvicinandosi globalmente a territori più pop che rock (strada già tentata in This Is Nowhere del 2007). Una band che ha voglia di sperimentare, divertendosi o di affermarsi commercialmente? Eterno dilemma che rimando nuovamente alla prossima mossa, perchè nonostante tutto il disco diverte.
Un disco dalla gestazione difficile. Le registrazioni, avvenute prevalentemente live in studio, hanno subito una lunga pausa dovuta ad una crisi che ha colpito la bionda cantante non soddisfatta del lavoro fin lì svolto. La soluzione fu un viaggio in solitaria in macchina, direzione nord States, percorrendo tutte quelle strade che sembrano portare verso il nulla ma sicuramente verso qualche nuova ispirazione.
"Ho scritto quattro nuove canzoni in Vermont (suo paese natale). Poi ho viaggiato di nuovo per un posto tranquillo in riva all'oceano, rintanata in una stanza d'albergo e finito alcune canzoni che avevo scritto più di un anno prima che avevano solo bisogno di una seconda possibilità". Un viaggio dell'anima che servì.
La band che nel frattempo ha perso per strada la bassista Chaterine Popper sostituita da Nico Abondolo, oltre alla polistrumentista Grace, si avvale del preziosissimo lavoro chitarristico di Scott Tournet e Benny Yurco, più Matt Burr alla batteria. Il disco è stato affidato alle sapienti mani del produttore Jim Scott (Revelator  di Tedeschi Trucks Band,Wilco e Tom petty tra i suoi lavori) e del "nuovo prezzemolo" Dan Auerbach dei Black Keys, co-autore e produttore in tre canzoni.
"Ho trovato il cuore del leone nel ventre della bestia e tenendolo in mano sentivo il battito". Si apre così l'album che ha una sua linea guida/testuale ben specifica.
"Gioca sulla dualità della natura umana. Il fatto che tutti noi abbiamo i nostri demoni e tutti abbiamo la capacità di essere buoni". Un'apertura elettro, tribale e tambureggiante, quella della title track, che si trasforma in una vigorosa rock song, con crescendo dettato da una nutrita sezione di violini così come Turntable, tra synth e echoplex, che gioca sapientemente sulle metafore sessuali. Tra i pochi momenti rock ed energici del disco.
Il singolo Never Go Back con la batteria Casio suonata da Auerbach, la danzereccia commistione tra soul e funk di Loneliest Soul e Runaway scritte insieme a Dan Auerbach riflettono le ultime influenze che animano tutti i lavori a cui ha messo mano ultimamente, dai suoi Black Keys al grande ritorno di Dr. John. Una mano che si fa sentire ma che rischia di uniformare ogni cosa che tocca.
Un disco che viaggia essenzialmente sui ritmi dell'anima, lasciando fuori gli impulsi rock. Troviamo così i sapori da West Coast californiana di Parachute Heart; la ballad soul Timekeeper; il ritmato pop/funk di Keepsake; la chitarra (finalmente) che si mischia alla sezione archi che guida One Heart Missing; la bella ballata per piano e chitarra acustica di Stars, dove la voce di Grace Potter ha possibilità di mettersi in grande evidenza.
Poi ti ritrovi l'avanzare teso, rock e zeppeliniano della conclusiva The divide (la miglior track del disco) e torni immediatamente alla domanda che l'ascolto di un disco di Grace Potter & The Nocturnals  mi porta sempre a fare: che strada vuole percorrere la bella Grace Potter, così distante da quella del suo debutto che aveva illuso chi vedeva in lei una nuova songwriter country/folk? Ora che la tavolozza è piena di tutti i colori, qualcosa in futuro si materializzerà più chiaramente.
Nella deluxe edition, c'è posto per altre quattro canzoni: Roulette, All Over You, la rilettura di Stars con l'ospitata del cantante country Kenny Chesney e soprattutto la countryeggiante Ragged Company con il buon vecchio Willie Nelson (fresco di uscita con il suo Heroes) alla voce e chitarra.






vedi anche RECENSIONE: GASLIGHT ANTHEM-Handwritten(2012)






2 commenti:

  1. molto peggio del precedente, virata pop commerciale, in qualche pezzo sembra addirittura Madonna. Dan Auerbach dovrebbe maturare come produttore, si crede Don Was ma è solo un che brucia le tappe, non tutto il moderno è ok. Peccato per Grace, con quelle gambe e quella verve potrebbe essere la nuova Grace Slick

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  2. Eh sì...un peccato che Grace Potter semini così male il suo talento

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