lunedì 2 aprile 2012

RECENSIONE: RAY WYLIE HUBBARD ( The Grifter's Hymnal )

RAY WYLIE HUBBARD The Grifter's Hymnal (Bordello records, 2012)

Ray Wylie Hubbard è un poeta ubriaco-ma assolutamente lucido- che insegue ancora i propri sogni (citando la sua Drunken Poet's Dream del precedente disco, cantata e scritta anche dal suo più credibile erede Hayes Carll ). Hubbard ha mantenuto quell'aura da puro e reale che il tempo non è riuscito a cancellare ma ad amplificare ancora di più. Dopo il suo ritorno negli anni novanta, non ha più smesso di comporre musica e Grifter's Hymnal, seppur sia solo il quindicesimo disco in quarant'anni di carriera, è fresco e tagliente come sempre, proseguendo e rinforzando il già buono e precedente A.Enlighttenment.B.Endaerkenment (Hint:There is no C)(2010).
Le sue canzoni puzzano ancora di alcool e sabbia di deserto texano, evocano serpenti striscianti e tentatori intorno alle punte di stivali pitonati e bottigliette di medicinali abbandonate davanti a vecchie chiese battiste; corrono su quelle autostrade che portano diritte all'inferno dove il blues incrocia il country da fuorilegge e la sua voce roca e consumata legge il sermone in modo credibile e affabulatore proprio come i truffatori di cui ci racconta: gente che si guadagna da vivere sfruttando le nostre debolezze. Lì in mezzo, tra il bene e il male, c'è Hubbard che ci indica quale strada prendere e non sempre è quella che ti aspetti.
Nessun pelo sulla lingua in New Year's Eve At the Gates of Hell un talkin' blues con tante citazioni eccellenti(anche Neil Young con i suoi Crazy Horse), nella biografica e cinematografica Mother Blues, tra bordelli di quart'ordine e spogliarelliste, dove con fare da consumato Johnny Cash ci racconta anche della sua famiglia. Famiglia ben presente nella sua vita artistica: la moglie Judy fa da manager ed il giovane figlio Lucas con la sua chitarra si ritaglia sempre più spazio nella musica di papà.
Hubbard marchia le canzoni con i suoi ululati in honky tonky trascinanti e chitarristici come South of The river con il piano suonato da Ian McLagan, rievocando gli stones più maledetti, blues scollacciati (Train Yard), si schiarisce la voce e da vecchio saggio ci parla del suo modo di prendere la vita nella spassosa Coochy Coochy in compagnia di Ringo Starr (autore della canzone , b-side nel suo vecchio Beaucoups Of Blues-1970) ai controcori e percussioni (sostiuendo per una canzone il batterista titolare Rick Richards), replicata da
Henhouse, spavalda danza honky tonky con il diavolo sottobraccio e dal tambureggiante inizio di disco affidato alla breve Coricidin Bottle.
Efficace, pungente ed ironico in Lazarus, tra slide ubriache e clap-hands, profondo e cinico in Red Badge Of Courage. Visioni e punti di vista puri e personali della sua America e dei suoi abitanti, gli stessi in cerca di redenzione che Hubbard,vestito da sceriffo/predicatore operante in ghost town da antico west, ricerca in Moss and Flowers e Count My Blessings, conscio che tanto alla fine bisogna rendere conto di tutto a Dio (Ask God).


vedi anche: DAVE ARCARI-Nobody's Fool





vedi anche: SHOOTER JENNINGS-Family Man




vedi anche: LUCERO-Women & Work

Nessun commento:

Posta un commento