mercoledì 28 luglio 2010

DISCHI IN ASCOLTO...in rigoroso ordine casuale...


THE BLACK CROWES Croweology (Silver Arrow Records, 2010)

Poco tempo per apprezzarne il ritorno, i due album Warpaint e Before the frost...until the freeze che i Black Crowes decidono di salutarci per un pò.
Croweology è un doppio album umplugged registrato live nel 2009 ed esce per festeggiare i 20 anni trascorsi dal loro debutto discografico Shake your money maker e si candida ad essere il lavoro che mette un freno alla loro carriera, si spera momentaneo.
L'album ripercorre l'intera carriera della band dei fratelli Robinson, mostrando il lato puramente roots ed acustico che già si intravedeva in Until the breeze, la seconda parte della precedente uscita discografica.
Mandolini, lap steel, pedal steel e violini colorano di americana grandi canzoni del loro repertorio come She talks to angels, Remedy, Soul singing, Sister luck, per un totale di venti canzoni tra cui la cover di She di Gram Parsons e alcune chicche. Registrato al Sunset Sound di Los Angeles ci mostra una band mai così unita e soprattutto alla continua ricerca di semplicità come testimoniano le loro ultime uscite, suonate e registrate dal vivo , lontane da sovraincisioni da studio.
La brutta notizia che ci rimane è quella di perderli nuovamente dopo il lungo tour che li terrà impegnati fino a dicembre negli states e che naturalmente non toccherà l'Europa.



LOS LOBOS Tin Can Trust (Shout! Factory, 2010)

Dopo il divertente antipasto Los Lobos goes Disney, album di cover dei classici Walt Dysney, i Los Lobos tornano a fare sul serio, incidendo un album che musicalmente racchiude tutte le caratteristiche poliedriche del loro sound.
Rock quasi oscuro e younghiano come nell'iniziale Burn it down(con l'ospitata di Susan Tedeschi)e nella finale 27 Spanishes, blues profondo in Jupiter or the moon il latino-messicano festaiolo e ballabile di Mujer ingrata, con tanto di fisarmonica e di Yo canto. Le ballate come All my bridges burning, la strumentale Do the murray che potrebbe essere benissimo una outtakes del miglior Santana anni settanta e in più la cover di West L.A. Fadeaway dei Grateful Dead.
Insomma un buon ritorno, vario e pieno di sfumature, per un disco che si candida ad essere il mio disco dell'estate.



JOHNNY FLYNN Been Listening (Transgressive, 2010)

Il debutto di due anni fa,A Larum,aveva già fatto intravedere le qualità di questo giovane ragazzo londinese che si candidò ad essere il portabandiera della nuova scena neo-folk britannica. Passato recentemente in Italia insieme ai Mumford & sons, altra rivelazione dell'anno 2009, ora ci stupisce con un lavoro che si stacca quasi totalmente dall'esordio, per colorare le sue canzoni folk con strumenti a fiato e ritmi provenienti da mondi lontani. Il primo paragone che salta in mente è il Paul Simon del periodo Graceland/The rhythm of the saints. Se alcune canzoni rimangono legate al precedente disco come Lost and found e Been listening, l'ascolto di Churlish May, dove percussioni e fiati arricchiscono i suoni di calore sudamericano, quasi stupisce. Sempre accompagnato dai fidi e giovani musicisti del debutto, Johnny Flynn con questo lavoro si conferma artista a tutto tondo, voglioso e curioso di dare alla sua musica sempre spunti nuovi da cui partire ed arrivare.

lunedì 19 luglio 2010

CROSBY, STILLS & NASH: recensione CONCERTO Milano Jazzin' festival 16 Luglio 2010




Quando la puntina del giradischi finiva la sua corsa dopo l'ultima nota di Pre-Road Downs capitava, a volte, che continuasse a girare all'infinito in un continuo fruscio. Si accorreva velocemente e si riaccompagnava la leva a mano, si girava il disco e ripartiva Wooden Ships. Si riprendeva in mano la copertina doppia apribile e si guardava quell'enorme foto interna con tre teste che spuntavano fuori da pellicce abbottonate fino al collo. Doveva fare parecchio freddo quel giorno quando fecero lo scatto.
Quelle tre teste sono, stasera 17 Luglio 2010, proiettate sul palco dell'arena civica di Milano: non fa freddo , la temperatura supera i trenta gradi, le zanzare sono appostate come killers e sopra quelle teste il colore dominante è il bianco. Insomma, sono passati 40 anni da quel luccicante esordio ma una cosa è rimasta intatta: gli impasti vocali e le caratteristiche che hanno fatto di Crosby, Stills & Nash una leggenda della musica.
David Crosby è chiaramente il meno in forma dei tre fisicamente, starà fermo per tutto il concerto, come dargli torto dopo tutto quello che ha subito in vita, rimane un sopravvissuto del rock'n'roll che assume ancor di più quell'aria da guru che gli venne tributata all'epoca, tanto che molti videro la sua figura nel personaggio di Dennis Hopper in Easy Rider. Il carisma e la voce però sono rimaste quelle di allora.
Stephen Stills rimane il rocker del gruppo, anche lui sembra ben ristabilito, sempre pronto a colorare i suoni con la sua chitarra e impreziosire il tutto con i suoi assoli.
Graham Nash è il cerimoniere, il più attivo fisicamente, scalzo, si sposta da una parte all'altra del palco, dialoga con il pubblico e delizia con la sua romantica delicatezza canora presentandosi spesso in scena con un calice di buon vino rosso.
La setlist è quella che stanno portando in giro per l'Europa e comprende quelle cover che presto usciranno in disco con la produzione di mister Rick Rubin e che sembrano aver ridato nuovi stimoli al gruppo.
La partezza è bruciante, con il sole che sta calando, irrompe Woodstock. La canzone della Mitchell è diventata il simbolo di una generazione che si illudeva di cambiare il brutto del mondo con la musica ma che ora è rassegnata a cercare di tappare il greggio che fuoriesce da una piattaforma, consapevole che meno lo si fa uscire, più anni di vita daremo a questo povero mondo.
La prima ora di musica vedrà anche una strepitosa Wooden Ships con grande coda finale e Stills protagonista, Long Time Gone , Southern Cross dal sempre sottovalutato "Daylight again" del 1982, Military Madness e In your name dal repertorio solista di Nash, Bluebird dei Buffalo Springfield, Marrakesh Express e una sorpresa come Long May you run dal disco omonimo del duo Young-Stills.
A dare man forte: i fidi Joe Vitale alla batteria e Bob Glaub al basso più i due tastieristi.

Dopo una pausa di circa 20 minuti, il concerto riprende in modo acustico e qui il tutto si colora. Gli strepitosi impasti vocali dei tre galleggiano nel silenzio assorto dell'arena creando quella magia che solo le loro tre voci insieme riescono ad emanare. Possiamo così ascoltare una succulenta anteprima del prossimo disco in uscita a fine anno: Girl from the north country (Bob Dylan), Ruby Tuesday (Rolling Stones), Norwegian wood (Beatles) tra le altre e poi una stupenda Guinnevere cantata in coppia da Crosby-Nash che da sola vale l'intero concerto. La potenza vocale di Crosby, con i suoi capelli brizzolati sventolati da un ventilatore, irrompe in Delta mentre Nash ci delizia con Our House cantatissima dai fan e una epica Cathedral ripescata dall'omonimo del 1977. Bellissima.
C'è ancora il tempo per l'elettricità di Behynd blue eyes dal repertorio Who, che non ha nulla da invidiare all'originale, la richiestissima Almost cut my hair e il finale con, finalmente, tutto il pubblico che lascia le sedie, sotto richiesta di Nash, e si avvicina alle transenne sottopalco.
Ovazione e messaggio recepito, il trio vuole sentire il calore e ora io mi chiedo perchè non poteva essere tutto il concerto così? Si tratta sempre e comunque di rock e le sedie mal si adattano al caso.
Love the one you're with e Teach your children , cantate da tutto il pubblico, pongono fine a più di due ore di grande musica consacrata a rimanere tale nei secoli dei secoli. Punto.

giovedì 15 luglio 2010

WILLIE NILE: recensione CONCERTO Asti Musica 14 Luglio 2010

...prima tappa del tour che presenterà il nuovo album "The innocent ones" di prossima pubblicazione,...sotto l'incantevole cattedrale di Asti...

Willie Nile è un portatore sano di rock'n'roll, schietto, diretto, sincero, glielo si legge negli occhi, lo si vede dalla sua camminata, dai gesti e dal suo look. Il piccolo sessantenne di New York ha confermato anche questa sera tutto il bene che ha saputo costruirsi durante una carriera irta di ostacoli che il nostro ha saputo superare venendo fuori alla distanza e riconfermando il tutto, complice un pubblico costretto a stare seduto per buona parte del concerto ma che , forse un pò in ritardo si è lasciato catturare dal piccolo man in black , catapultandosi in piedi per portarlo in trionfo nel finale.
Asti musica è una rassegna che vuole essere una carrellata quantomai esaustiva e varia sulle diverse sfacettature dei generi musicali sotto la stupenda e suggestiva cornice della cattedrale gotica. Quindici giorni di musica ininterrotta che stasera fa tappa negli States presentando due cantautori, purtroppo sconosciuti al grande pubblico.
Ad aprire per Nile il coscritto Dirk Hamilton, un passato da stella nascente dellla west coast californiana degli anni settanta, con un futuro radioso da scrivere, si perse o meglio preferì continuare la sua ricerca musicale nel sottobosco e per certi versi, questo lo accomuna a Nile. Folk, blues e soul sono i suoi mezzi di comunicazione e una voce tutta da riscoprire, il tutto unito da una profonda simpatia e amore verso l'Italia e per i musicisti italiani che lo accompagnano.
E' un peccato che pochi giovani abbiano assistito al concerto di Nile. Il piccolo folletto newyorchese ha impartito una lezione di rock, lui nato artisticamente nella New York di metà anni settanta, quando il CBGB's della grande mela ospitava Television, Ramones, Talking Heads e Patty Smith. Nile è la congiunzione tra il cantautorato profetico di papà Dylan, gli Stones del "...but i like it" e il punk rock urbano dei Ramones a cui il nostro non manca mai di fare omaggio, stasera è stata la volta di I wanna be Sedated.
Willie Nile è un grande comunicatore, attraverso le parole delle sue canzoni e cercando a più riprese il dialogo con il suo pubblico. Spiega le canzoni e abbozza qualche parola in Italiano, visto che l'Italia in questi ultimi anni sembra proprio piacergli. Accanto ai suoi cavalli di battaglia vecchi e nuovi, Vagabond moon, una richiestissima e scatenata She's so cold nel finale, Run, una trascinante Cell phone ringing scritta dopo il fatidico 11 settembre,Give me tomorrow e la nuova Innocent ones dal prossimo disco in uscita, Willie omaggia a più riprese amici, icone e suoi idoli, a dimostrazione di quanto sia ancora lui stesso un fan della musica.Omaggia Jeff Buckley con On the road to calvary scritta nel 1999 per l'artista dal futuro spezzato, suona e fa cantare al pubblico Hit the road Jack di Ray Charles, spiegando di come lui e la sua band decisero di metterla in scaletta dopo averla ascoltata in radio durante uno spostamento lungo le autostrade italiane, cita l'amico Roger Mcguinn a cui dedica la commovente e pianistica Across the river.
Scatena la sua esile e nervosa figura omaggiando gli Who con Substitute e finendo alla grande con gli Stones di Satisfaction. A questo punto il pubblico è tutto dalla sua e nonostante la stanchezza visibile, a cinque minuti da fine concerto si presenta al banco del merchandise per riconcedersi un'altra volta. Dischi, foto, autografi in quantità e nuovi fans conquistati. Questa è la politica del piccolo Willie che ha sempre preferito i piccoli passi, fatti senza svendere nulla agli aguzzini mercenari della musica e il suo esilio discografico di quasi dieci anni negli eighties parla chiaro.
Come ebbe a dire nella prefazione di un libro:" Non importa che sia un club, uno stadio, un angolo di strada. A New York, Dublino o San Francisco: la musica che arriva dal cuore vive e respira nelle voci e nelle canzoni di chi fa il viaggio."
Bravo Willie.




vedi anche RECENSIONE: WILLIE NILE-American Ride (2013)




martedì 13 luglio 2010

RECENSIONE: GRACE POTTER & THE NOCTURNALS, OLTRE LE GAMBE C'E' DI PIU'...


Il nuovo talento femminile americano, fortunatamente, per ora, lontano dai media e più vicino alla musica...




GRACE POTTER & THE NOCTURNALS (Hollywood Records, 2010)

A voler essere cattivi e maschilisti, potremmo soffermarci sulla copertina e le foto interne del libretto che ritraggono la bionda Grace Potter, ritagliarle, appenderle nel nostro rifugio segreto e finita lì.
La bella Grace, però, ha tante carte da giocarsi, oltre alle gambe, giunta al quarto album di studio, sembra che qualcuno se ne sia accorto. Prima di tutti, i colleghi artisti per cui ha aperto i concerti. Black Crowes, Gov't Mule, Dave Matthews Band e Joe Satriani non sono cosine da poco, la partecipazione alla soundtrack dell'Alice cinematografica di Tim Burton con la cover di White Rabbit dei Jefferson Airplane e non ultima la nomina "ufficiale" di miglior band del 2010 insignita dalla rivista americana Rolling Stone(...e di questo non so se bisogna andarne fieri).
Grace Potter non nasconde di aver avuto una folgorazione dopo aver visto The last Waltz ( anche il sottoscritto la ebbe, senza avere però doti artistiche), il film-documento sull'ultima esibizione di The Band, una delle migliori band rock americane. Proprio da The Band sembrano prendere spunto i suoi Nocturnals, per coesione, unità, certe aperture melodiche e la capacità di unire il rock con il folk, il soul e il blues.
La Potter, vocalmente si pone a metà strada, con tutto il rispetto possibile, tra Grace Slick e Janis Joplin, lasciando trasparire due anime ben distinte. L'anima rock-blues che troviamo in brani come l'iniziale Paris(Ohh la la), Medicine, Only love e Hot Summer Night, dove la band guidata dai due chitarristi Scott Tournet e Benny Turco(completano la bassista Catherine Popper, già vista con Ryan Adams e il batterista Matt Burr), può sfoderare tutto il suo regime rock o come nel bel singolo Tiny light, che parte come bucolico country-pop e finisce in un crescendo di noise jam-chitarristico.
Le doti vocali e strumentali della Potter (suona anche hammond e piano come nella ballad Colors) si riscontrano nelle canzoni Oasis,Low Road, Money e That phone orientate al soul-pop, dove l'influenza dell'amata Aretha Franklin si fa sentire.
Un disco piacevole, per gite on the road, verso mete californiane preferibilmente e la reggaeggiante Goodbye Kiss ti fa sognare di avere la bionda Grace al tuo fianco.
Il pregio dell'ascoltabilità può trasformarsi in difetto se si vuole fare i pignoli. La produzione affidata ad un produttore non proprio rock'n'roll come Mark Batson, rende tutto quello che dovrebbe essere sporco, troppo pulito e luccicante, ponendo ancora dei dubbi su dove la Potter e il suo gruppo vogliano andare a parare.
Una certezza però c'è, il disco in questione porterà tanta fortuna, così com'è.

sabato 10 luglio 2010

RECENSIONE: JOSHUA JAMES (Build Me This)... il giovane cantautore è una delle promesse del folk-rock americano...



JOSHUA JAMES Build me this (N/I.N.Records,2009)

La spiritualità (e la fede) del giovane Joshua James traspare prepotentemente in questo suo secondo lavoro "Build me this". Dopo il buon successo dell'esordio "The sun is always brighter" uscito nel 2008, che lo ha portato in tour con Ani DiFranco e John Mayer, il buon Joshua amplia i suoi orizzonti musicali creando sicuramente uno dei dischi più interessanti usciti nel corso del passato 2009.
Joshua James è giovane, 25 anni, ma è riuscito a mettere in campo svariate influenze che nel primo lavoro non erano state toccate. La centralità rimane il folk dell'esordio, che però viene arricchito con diramazioni che lo portano a toccare blues, country e soul. Le composizioni si riempiono di sfumature strumentali che vanno aldilà delle ballate dell'esordio.
L'iniziale e marziale "Coal War" è una splendida rock-gospel song che mette in pratica tutti gli aspetti e le caratteristiche di questo lavoro. Testi dettati da una profonda fede di ricerca in qualcosa di grande a cui aggrapparsi e musica piena e calda, fatta di basso, chitarra, batteria e piano come la successiva "Magazine" dove fanno la loro apparizione violino e lap steel. Stupenda la coda finale. Il misticismo e la spiritualità avvolgono tutto il disco donandogli quella magicità che una canzone come "Weeds", accompagnata da un bel video, riescono a rendere concreta. Canzone folk semplice semplice, ma che colpisce immediatamente.

Joshua James, continua a stupire con la malinconia country-western di "Mother Mary", il rock blues di "Black July" dove salgono in cattedra chitarre elettriche e la lap steel suonata da Ben Peeler. Più legate al folk sembrano essere episodi "Kitchen tile", "Lawn full of Marigolds" e "Pitchfork". Menzione ancora per la quasi irish folk "Annabelle" che spezza il carattere serio e austero di questo disco che sicuramente potrebbe aprire buone porte verso la notorietà.

Molta carne al fuoco, che lascia trasparire una miriade di idee musicali. Alternanza tra semplici folk songs e canzoni dal suono pieno e caloroso (grazie anche all'uso di organo e piano) fanno del disco un lavoro dall'ascolto piacevole che a volte ricorda qualcosa ascoltato nei dischi di Ray Lamontagne, ma soprattutto cerca di prendere il meglio dai grandi songwriters come Dylan, Morrison e Young. Senza dimenticare una voce calda ed espressiva. Il ragazzo dello Utah è giovane ed ha quindi ancora margini di miglioramento, ma se le premesse partono da un disco di questo livello, il futuro non può che essere dei migliori. Menzione per la copertina, che lo ritrae con una maschera bianca che tanto ricorda il Bob Dylan del "Rolling Thunder Revue live 1975", sarà un caso?

Io di questo disco mi sono innamorato al primo ascolto...






lunedì 5 luglio 2010

BRUCE SPRINGSTEEN:LONDON CALLING...live in HYDE PARK (2010)





Chi ha visto Springsteen almeno una volta nella vita, sa cosa attendersi da questo nuovo Dvd, ma sopratttutto è sicuro di aver visto quanto di meglio si possa ancora vedere in giro per il mondo in quanto a genuinità, professionismo, passione e concessione totale verso il pubblico in uno scambio di dare e avere che ha pochi eguali nella storia del rock. Le sue maratone live sono diventate qualcosa di epico e se le quattro ore di concerto di molti anni fa sono ora irrangiungibili per dichiarati limiti d'età, state pur certi che prima di tre ore di musica non andrete a casa e quando purtroppo il concerto volgerà al termine, sarete ancora lì ad urlare il suo nome sperando che esca nuovamente e che magari sfori i tempi come avvenne due anni fa in quel di Milano(...Le ultimissime notizie danno l'assoluzione completa per il promoter Trotta, ma che figuraccia per Milano e i suoi governanti. La città meneghina ha perso i maggiori eventi live di questa estate e ben gli sta...).
Dopo gli anni novanta vissuti abbastanza in sordina, sembra che Bruce, nel nuovo millennio voglia recuperare e correre contro il tempo, conscio che la sua macchina da guerra, la E-Street Band, inizia a scricchiolare sotto i colpi di quella brutta bestia chiamata vecchiaia.
Perso per strada l'amico Danny Federici, Bruce ha speso gli ultimi tre anni sopra le assi dei palchi di tutto il mondo, quasi ad esorcizzare la perdita dell'amico tastierista. Quello che è andato in scena in questi concerti è qualcosa che si avvicina a quanto di meglio Springsteen ha fatto in gioventù davanti al fedele pubblico.
Questo Dvd è uscito per dimostrare tutto questo, quanto un sessantenne riesca a tenere un palco come un ragazzino, senza la spocchia da rockstar o recitando sermoni e autocompiacimento che suoi colleghi coetanei e non, sembrano avere quando sono a tu per tu con il proprio pubblico. Palco, dove la musica e il sudore dei musicisti è ancora la cosa più importante. Se qualcuno cerca di nascondere l'avanzare del tempo creando impianti scenici ed effetti speciali da mille e una notte, lui si accontenta dei suoi fidati amici musicisti e del pubblico che oramai è composto da almeno tre generazioni.
Sarà una rockstar, ma il suo voler mantenere a tutti i costi un contatto umano con il pubblico lo rende quasi un amico fedele che difficilmente ti tradisce.
London Calling, live in Hyde Park cattura l'esibizione avvenuta a Londra all'interno del festival Hard Rock Calling svoltasi il 28 Giugno del 2009 a Londra. Il concerto si apre con quella London Calling, che forse,un pò in modo ruffiano, vuole essere un omaggio alla città che lo ospita e al grande Joe Strummer , che in vita non mancò mai di elogiare l'operato dell'ex ragazzo di Freehold. L'interpretazione è quasi fedele all'originale e presenta uno Springsteen carico e quasi incazzato. Lo sarà per quasi tutta la prima ora di concerto che vede un tris d'assi come Badlands, Night e She's the one calato in apertura. Prima di sciogliersi e di lasciarsi andare all'abbraccio del pubblico sulle note di Good Lovin', c'e il tempo per Johnny 99, in versione full band e Seeds. E' il momento, atteso, della raccolta delle canzoni proposte dal pubblico, siparietto che Bruce si è inventato negli ultinmi due anni di concerti. Momento che da la possibilità di sentire canzoni a richiesta, non presenti quindi in scaletta e che qualche volta presenta delle chicche veramente notevoli. La sua grandezza è anche questa. Qui a Londra si può ascoltare una rara Trapped, cover dell'amico giamaicano jimmy Cliff o una No Surrender con Brian Fallon dei Gaslight Anthem chiamato sul palco a duettare con un pò di timore reverenziale verso il proprio mito musicale.
Il secondo dvd ci presenta tutta l'epicità dello Springsteen anni settanta con tre lunghe cavalcate come Born to run, Jungleland e Rosalita. C'è tempo per la corale Hard Times di Stephen Foster e l'irish folk festaiolo di American land, diventato un piccolo classico dei recenti concerti. Conclusione con due hit anni ottanta, Glory days e Dancing in the dark, anche se avremmo preferito il Detroit medley come avvenuto negli ultimi tour italiani.
La particolarità di questo live dvd è quella di essere stato registrato per buona parte con la luce solare ancora presente, quindi a beneficiarne sono la resa dei dettagli sui musicisti, i loro strumenti e le inquadrature del pubblico. Menzione per il piccolo fan che Bruce fa cantare durante Waitin' on a sunday day.
Come bonus, purtroppo c'è ben poco, una esibizione di The River registrata a Glastonbury sempre nel 2009 e il video dell'inedito Wrecking Ball.
Questo 2010, per ora sembra un anno di assoluto riposo per il capo e suoi guerrieri, sperando che questo non sia una delle ultime testimonianze live in video della E-Street band, come si vocifera in giro.

BRUCE SPRINGSTEEN & THE E STREET BAND
LONDON CALLING: LIVE IN HYDE PARK

1. London Calling
2. Badlands
3. Night
4. She's The One
5. Outlaw Pete
6. Out In The Street
7. Working On A Dream
8. Seeds
9. Johnny 99
10. Youngstown
11. Good Lovin'
12. Bobby Jean
13. Trapped
14. No Surrender
15. Waiting On A Sunny Day
16. The Promised Land
17. Racing In The Street
18. Radio Nowhere
19. Lonesome Day
20. The Rising
21. Born To Run
22. Rosalita (Come Out Tonight)
23. Hard Times (Come Again No More)
24. Jungleland
25. American Land
26. Glory Days
27. Dancing In The Dark
28. Music under end credit sequence: Raise Your Hand

BONUS MATERIAL:
The River: Glastonbury Festival, 2009
Wrecking Ball: Giants Stadium, 2009

giovedì 1 luglio 2010

RECENSIONE: DANZIG...un passo avanti verso il passato?



DANZIG Dethred Sabaoth (2010, Evillive Records)

Non possiamo fare finta di nulla,il meglio di Danzig solista l'abbiamo già ascoltato e continuiamo ad ascoltarlo nei suoi primi quattro dischi. Danzig è uno di quei personaggi che si amano o si odiano, nel bene e nel male e lui su questo ci sguazza. Dopo l'abbandono dei Misfits, entrati nel culto e nella storia del punk dei primi anni ottanta, seppe rinascere artisticamente prima creando i poco fortunati Samhain e quindi mettendo in piedi la corazzata Danzig che volò alta per 6 anni. Poi, il seguire le mode, costò molto caro.Il quinto album Blackacidevil del 1995, strizzò un pò troppo l'occhio all'industrial e le canzoni che ne uscirono persero quella magia e quel calore hard-blues che pregnavano i precedenti dischi, fu una delusione totale e l'inizio di una caduta di stile e popolarità che Danzig sembra ritrovare solo a sprazzi negli album che seguiranno.
Dethred Sabaoth esce esattamente sei anni dopo l'ultimo album di studio, quel Circle of snakes che sembrava, anche grazie all'aiuto di Tommy Victor, leader dei grandi Prong, indicare la retta via musicale da intraprendere. In mezzo un bel box, pensato per i fans con numerose canzoni mai pubblicate che forse era un preavviso di riavvicinamento a certe sonorità.
Sin dalla grafica e dai caratteri delle scritte, vi è un intento a guardare al passato più remoto targato Misfits. Il contenuto, però, è quanto di più vicino al primo Danzig si sia ascoltato negli ultimi quindici anni.
La produzione affidata allo stesso Danzig è volutamente grezza, sporca.
Ad accompagnarlo il solo Tommy Victor alle chitarre e basso e Johnny Kelly, batterista dei Type O Negative. Per il resto fa tutto mister "Anzalone" che si cimenta anche alla batteria in Black Candy.
Il piacere è quello di ritrovare, inanzitutto quella voce, spesso paragonata ad un mix Presley-Morrison, profonda ed accattivante. La ritroviamo soprattutto in quei pezzi come Rebel Spirits e On a wicked night, dove i melodici arpeggi iniziali sono accompagnati dal pathos della sua voce per poi esplodere musicalmente e vocalmente. Insomma, canzoni dalla piacevole aria di deja vù che perlomeno si avvicinano a composizioni da ricordare. Lontane dal diventare le nuove Twist of Cain, Mother o Anything ma quantomeno lontane, anche, dalla ripetitività industriale del recente passato che comunque rimane in alcuni riff chitarristici di Victor come in The Revengeful.
Danzig oscuro e malefico lo incontriamo nel blues-doom sabbathiano di Night star hel e nella finale Left hand rise above.
Classico disco per i nostalgici del primo Danzig. Ora è da valutare quanto questo ritorno sia frutto dell'ispirazione o un atto dovuto, dopo l'ultimo decennio di declino vissuto dal nostro. Io mi porrei nella via di mezzo, in fondo il disco si lascia ascoltare e questo è già un buon passo in avanti...verso il passato.