sabato 10 luglio 2010

RECENSIONE: JOSHUA JAMES (Build Me This)... il giovane cantautore è una delle promesse del folk-rock americano...



JOSHUA JAMES Build me this (N/I.N.Records,2009)

La spiritualità (e la fede) del giovane Joshua James traspare prepotentemente in questo suo secondo lavoro "Build me this". Dopo il buon successo dell'esordio "The sun is always brighter" uscito nel 2008, che lo ha portato in tour con Ani DiFranco e John Mayer, il buon Joshua amplia i suoi orizzonti musicali creando sicuramente uno dei dischi più interessanti usciti nel corso del passato 2009.
Joshua James è giovane, 25 anni, ma è riuscito a mettere in campo svariate influenze che nel primo lavoro non erano state toccate. La centralità rimane il folk dell'esordio, che però viene arricchito con diramazioni che lo portano a toccare blues, country e soul. Le composizioni si riempiono di sfumature strumentali che vanno aldilà delle ballate dell'esordio.
L'iniziale e marziale "Coal War" è una splendida rock-gospel song che mette in pratica tutti gli aspetti e le caratteristiche di questo lavoro. Testi dettati da una profonda fede di ricerca in qualcosa di grande a cui aggrapparsi e musica piena e calda, fatta di basso, chitarra, batteria e piano come la successiva "Magazine" dove fanno la loro apparizione violino e lap steel. Stupenda la coda finale. Il misticismo e la spiritualità avvolgono tutto il disco donandogli quella magicità che una canzone come "Weeds", accompagnata da un bel video, riescono a rendere concreta. Canzone folk semplice semplice, ma che colpisce immediatamente.

Joshua James, continua a stupire con la malinconia country-western di "Mother Mary", il rock blues di "Black July" dove salgono in cattedra chitarre elettriche e la lap steel suonata da Ben Peeler. Più legate al folk sembrano essere episodi "Kitchen tile", "Lawn full of Marigolds" e "Pitchfork". Menzione ancora per la quasi irish folk "Annabelle" che spezza il carattere serio e austero di questo disco che sicuramente potrebbe aprire buone porte verso la notorietà.

Molta carne al fuoco, che lascia trasparire una miriade di idee musicali. Alternanza tra semplici folk songs e canzoni dal suono pieno e caloroso (grazie anche all'uso di organo e piano) fanno del disco un lavoro dall'ascolto piacevole che a volte ricorda qualcosa ascoltato nei dischi di Ray Lamontagne, ma soprattutto cerca di prendere il meglio dai grandi songwriters come Dylan, Morrison e Young. Senza dimenticare una voce calda ed espressiva. Il ragazzo dello Utah è giovane ed ha quindi ancora margini di miglioramento, ma se le premesse partono da un disco di questo livello, il futuro non può che essere dei migliori. Menzione per la copertina, che lo ritrae con una maschera bianca che tanto ricorda il Bob Dylan del "Rolling Thunder Revue live 1975", sarà un caso?

Io di questo disco mi sono innamorato al primo ascolto...






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